La partita che non si doveva perdere
Penso che ce la ricordiamo tutti l’ultima volta che abbiamo giocato con la Salernitana. Quello che abbiamo fatto, dove siamo andati e con chi. Scommetto che vi ricordate persino come eravate vestiti.
Noi prendemmo la metro per andare a vederla a casa dei miei, con tanto di sciarpa e bandierone formato matrimoniale, nello zaino il kit per dipingerci la faccia tricolore e il necessario per sopravvivere una notte in giro, che tanto il giorno dopo era festa, festa due volte. Ce la ricordiamo tutti quella giornata, era il 30 aprile, a noi servivano tre punti e poi saremmo stati campioni d’Italia dopo 33 anni; campioni d’Italia ad aprile, una cosa che non si era vista mai. Il record dei record, una cosa epocale, un’impresa epica.
Ma così non andò, ce ne tornammo a casa con il bandierone matrimoniale sulla spalla, parecchio scazzati, consapevoli che comunque la settimana dopo avremmo fatto l’impresa, e se no quella dopo ancora. Dovevamo solo aspettare un altro pochino per esplodere di gioia.
Per quel ritardo sulla nostra liberatoria esultanza che maturava ormai da mesi, per quello scudetto trezziato come una carta del poker, i tifosi della Salernitana festeggiarono neanche lo scudetto lo avessero vinto loro, dimostrando una bassezza morale che raramente si è vista in giro. Noi, superiori, quattro giorni dopo ci andammo a prendere il titolo senza degnarli di un pensiero.
Il mio terrore era quest’anno, con quello che sta succedendo, con una squadra sfasciata e manate di punti persi per strada, perdere con la Salernitana. No, sarebbe stato orrendo. Perché è vero che noi non siamo quelli dell’anno scorso, ed è vero che siamo l’ombra di noi stessi, ma quei festeggiamenti li stanno pagando (il karma sa quello che fa, non sempre ma spesso) occupando un posto risibile in campionato. Perdere contro di loro, ormai nei bassifondi della serie A, significava anche perdere quel minimo di speranza nel riassetto di una squadra, soprattutto mentale. Dopo avrebbero festeggiato, anche con un piede nella fossa, figuriamoci.
Poi certo, i pasticci sono successi: Gaetano è disastroso, e non abbiamo nessuno con cui sostituirlo, Zielinski ormai è di certo andato via, Cajuste è un altro che non sempre sa cosa fa, Kvarashkeila fa quel che può, l’unioc che sembra davvero crederci – almeno nel primo tempo – è proprio quel Simeone che sembra sempre debba conquistarsi tutto con le unghie e con i denti.
Il Napoli gioca i primi dieci minuti e poi si arrende, tanto che il gol di Candreva arriva prevedibile, imprendibile per Gollini, ma altrettanto evitabile da una difesa schierata male. Finché quel rigore – sacrosanto – non sembra ridarci fiducia, e il gol del vantaggio viene inseguito con una determinazione finalmente convincente che dà frutti solo al 96esimo, quando davvero eravamo in pochi ad aspettarcelo.
Mazzarri si esalta, si gode la vittoria, promette che la dirigenza sta facendo di tutto per fare un buon mercato – anche se finora gli affari prospettati come imminenti sono stati entrambi stroncati, guarda un po’ proprio dalla Juve di Giuntoli. Abbiamo ancora una quindicina di giorni per vedere cosa accadrà. Ma era importante vincere, perché stavolta a festeggiare dovevamo essere noi e basta.