Domenica, 22 Dicembre 2024

Un attentato al diritto alla salute

Un amico si lamentava di aver speso 150 euro di ticket per delle analisi del sangue di routine e due ecografie. Niente di nuovo: curarsi è costoso e complicato, fra tetti delle prestazioni, budget che finiscono nei primi giorni del mese e diventano chimera intorno alla metà dell’anno, liste d’attesa lunghissime, carenze strutturali e di personale.

Il mio amico stringendo la cinghia si adegua e paga, ma molti hanno smesso perfino di sottoporsi ai normali e doverosi controlli periodici perché non se lo possono permettere. Letteralmente, non è un modo di dire, perché 150, 200 o 300 euro sono una spesa rilevante per una qualsiasi famiglia che vive di stipendio.

È la triste realtà della nostra regione e di quelle del Sud come la Calabria dove la situazione è ancora peggiore, ma attenzione a farne solo una questione di Nord e Sud, di guerra fra poveri all’ultima prestazione disponibile. Lo scarto fra le due parti del paese è evidente e lo fotografa con la consueta efficacia il recentissimo rapporto realizzato da Svimez e Save The Children. In media al Sud si muore prima, si previene meno e ci si cura peggio, ma non si pensi che questo gap sia solo territoriale.

Siamo di fronte a un attentato al diritto alla salute che è più dirompente al Sud perché qui si concentra il maggior numero di poveri, ma che riguarda anche le classi popolari che vivono al Nord, soprattutto nelle grandi città. L’Italia spende vergognosamente poco per la sanità pubblica. La prima questione è esattamente questa. Meno della metà di quanto spende la Germania, seguita a ruota dalla Francia che stanzia una cifra non troppo distante da quella tedesca.

Poi ci sono i criteri di ripartizione che non tengono conto delle effettive necessità di cure e prestazioni, della condizione di povertà che determina uno stato di salute peggiore, e perciò in uno scenario critico ovunque si determinano poi le disuguaglianze territoriali che costringono, per esempio, il 22% dei malati oncologici del Sud ad andarsi a curare negli ospedali del Nord.

Ecco, in seguito alla riforma del Titolo V della Costituzione, l’Autonomia differenziata si applica già da decenni nella sanità con un duplice effetto: crescono i divari fra territori e si depotenzia sempre di più il sistema sanitario nazionale. Non a caso, siamo fra le nazioni d’Europa a spendere di più per la sanità privata. Parliamo di 40 miliardi, l’equivalente di un paio di finanziarie.

Basta già solo questo esempio per spiegare lo scempio che produrrà l’Autonomia differenziata che permette alle regioni di ottenere non una ma ben 23 materie di pertinenza dello Stato. Con lo stesso schema della sanità: sottrarre spazio e risorse al pubblico a beneficio dei privati in ogni ambito della nostra esistenza.

Perciò l’Autonomia differenziata va fermata, perché non solo affossa il Sud, ma disegna un paese a misura di ricchi.

Sergio D'Angelo
Author: Sergio D'Angelo
Napoletano, tra i massimi esperti di politiche sociali, terzo settore e finanza etica in Italia. A lui si devono numerose battaglie per il lavoro, l’istruzione, le pari opportunità, la sanità, il welfare. Fondatore e presidente del gruppo di imprese sociali Gesco, è stato assessore comunale al welfare e commissario straordinario dell’ABC, azienda speciale per la gestione dell’acqua pubblica del Comune di Napoli. Nell’ottobre 2021 è stato eletto in consiglio comunale come capolista di Napoli Solidale. È giornalista pubblicista e opinionista del Corriere del Mezzogiorno.

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