Domenica, 22 Dicembre 2024

Monologo sulla Madre

Il non essere madre di Chiara Francini sbarca a notte fonda al Festival di Sanremo in un monologo molto autentico, velato di ironia dolce amara.

Ed è subito polemica.

Polemizzano le donne che non riescono a sentirsi in empatia con un’altra donna.

Polemizzano gli old style, toccati nell’iconografia della madre intoccabile.

Polemizzano le “liberate” che vorrebbero linciare la Francini per essersi permessa di parlare di cose così intime e private in un luogo così frivolo.

Polemizza chi non tollera Sanremo.

Polemizza chi non è mai stata madre e chi lo è stata tante volte, chi ha avuto figli con grande dolore e chi non ne ha potuti avere.

Ma cos’ha detto di tanto divisivo la Francini?

A mio avviso ha dato vita a un bellissimo affresco sulle fragilità umane e raccontandosi, e non ce ne frega molto se recitava o meno, e comunque se recitava lo faceva superbamente, ha rappresentato l’impossibilità di chiudere in un cassetto o in una qualunque definizione l’essere madre, e ha restituito alla maternità il diritto alla libera interpretazione che ciascuna donna dà a una tematica complessa e variegata.

Quella sua testimonianza così umana delle felicità altrui ingombranti per chi non le prova che richiedono la finzione per poter partecipare in qualche modo, e allora tu vedendo la felicità della tua amica nell’essere madre, fingi ma dentro di te senti lo scollamento, perché quell’esperienza non l’hai mai provata e in quel momento non la comprendi, ma sorridi e fingi… è un pugno di autenticità. Quanta umanità, quante sfumature impossibili da rendere fino in fondo, condensate in uno sguardo, in un pensiero fugace, in quell’impossibilità kafkiana che abbiamo talvolta di poter mostrare i nostri sentimenti autentici.

Nella società del giudizio pronto, dove viene giudicata persino una donna che non avendo figli si sente giudicata, c’è ancora spazio per le mille sfumature del cuore, magari in contraddizione fra loro, magari imperfette, incoerenti, che raccontano di fragilità commoventi, pur se nascoste sotto un sorriso sarcastico?

La Francini col suo monologo ha dato spazio alla domanda, all’incertezza, al tentennare, in una cultura dove sembra che ci sia sempre una risposta a tutto e quella risposta è sempre una.

“Il cuore ha più stanze di un bordello”, scriveva Marquez.

Ma ai nostri tempi il cuore sembra prigioniero di un angolo stretto, dove le parole di qualcuno che racconta la sua storia riescono a ferire, perché la storia “altra” ferisce la “nostra” storia, in un gioco perverso che non lascia spazio all’Alterità.

Perché oggi è così difficile fare spazio all’Alterità, riconoscerla senza sentirsi “espropriati” della propria e quindi feriti, e senza che ogni volta la risposta di pancia intervenga a puntualizzare, annullando l’identità dell’Altro?

Provo a dare la mia interpretazione, riflettendo su quanto il mondo liquido e virtuale sia fautore del caos dell’individualità.

Assistiamo a una fumosità identitaria nel mondo virtuale dove scompariamo, e insieme ci manifestiamo in un avatar, accompagnata da un’enfatizzazione identitaria, che si condensa in un continuo dire, apparire, manifestarsi, raccontarsi, che però nasconde un’angoscia sottile.

È come dire continuamente “sono nel vuoto, scompaio, quindi faccio continuamente qualcosa per ‘apparire’ e uscire dal vuoto”…

Ma nella liquidità di Bauman dove tutto è mobile, impermanente e senza appigli, anche le parole al pari delle immagini non riescono a definire e a definirci.

Allora il giudizio e l’auto giudizio costituiscono forse l’ultimo baluardo, gli unici punti fermi rimasti attorno a cui condensarci. Giudicando continuamente mettiamo argini alla liquidità in una perenne fuga dalla morte e dal dolore. È come dire continuamente “io sono, nella misura in cui ti cancello”…

E così siamo diventati una cultura che sta dimenticando l’empatia a favore dell’ideologia, che predilige la spiegazione anziché la comprensione, e che aborrisce le parti fragili, che vengono messe sotto la coltre delle infinite prassi.

La maternità restituisce fragilità, e apre lo spiraglio sulle contraddizioni del cuore.

Ogni madre lo sa benissimo…

Conosce quella contraddizione dell’essere madre che condensa insieme amore e distanza, voglia del figlio e intolleranza al figlio stesso, legame viscerale e insofferenza a quel legame che talvolta soffoca, benedizione e gratitudine verso il figlio e desiderio a volte di essere Kore la fanciulla, più libera dell’aria e non Demetra col peso della discendenza.

Diceva Castaneda, per ogni figlio che si genera si perde un pezzo di se stessi, della propria luce, si abdica a favore di un altro.

E se la discendenza è un peso, un figlio è il debito che ci si assume verso la vita stessa, in un atto di amore contraddittorio, intessuto di imperfezioni, nell’imprecisione del tratto,  dove si mescolano la fragilità e la fame, il desiderio e il vuoto…

Perché la madre, come la vita, è una domanda.

Non una risposta.

Chiara Tortorelli
Author: Chiara Tortorelli
Creativa pubblicitaria, editor e scrittrice, vive a Napoli dove inventa nuovi cultural life style: come presentare libri in maniera creativa e divergente, come scrivere i libri che ti piacciono davvero, come migliorare la creatività e il benessere personale con metodologie a metà strada tra stregoneria e pensiero laterale. Il suo ultimo libro è “Noi due punto zero” (Homo Scrivens 2018). Cura per Napoliclick la rubrica “La Coccinella del cuore”.

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