Resistenza
Vorrei ricordare questa ricorrenza con uno dei pezzi più belli di Pier Paolo Pasolini, “La resistenza e la sua luce”, tratto da “La Religione del mio tempo”.
Nei versi struggenti del poeta c’è la pura luce dei ragazzi, di coloro che attraversarono il secondo conflitto mondiale e non smisero di sperare in un futuro migliore.
Ognuno, sia che si trovasse in villaggi sperduti, sia che partito verso il fronte sfidava il destino, conservava nel cuore quella luce. Una luce pura, intonsa, immacolata, innocente. Fatta di qualcosa che somiglia a un ideale, intrisa di giustizia e di libertà.
Quella luce aveva il potere di unire gli animi in una fratellanza commossa, quella luce era una luce di speranza in un domani diverso, migliore.
Ecco io vorrei partire da qui per celebrare il 25 aprile.
Da quella luce e da quei ragazzi.
I ragazzi del ’45, i ragazzi che combatterono una guerra feroce e reduci da una tragedia immane si riunirono nella luce, quella luce che poteva cambiare le cose. La luce di un nuovo domani.
Quant’è rimasto oggi di quella speranza, mi chiedo?
Già Pasolini negli anni Cinquanta è implacabile, parla di corruzione assorbita dalla luce e ci racconta di quei ragazzi puri, superstiti in una Roma biancheggiante che vanno nell’acre colore del mattino di un dopoguerra epico. Adolescenti non sanno cosa li aspetta.
“Non c’era luce
nel loro futuro. Perché c’era questo
stanco ricadere, questa oscurità”
Il poeta li guarda commosso e ha gli occhi pieni di lacrime per quei poveri ragazzi “a cui ogni martirio è stato inutile”: tutto ciò per cui hanno lottato si è rivelato illusorio, perché quella luce fu un sogno, soltanto un sogno… La luce era stata predata dal potere che ne aveva fatto altro.
Ieri come oggi. Si continua a celebrare il 25 aprile.
Ma senza ricordare quell’emblema di speranza, quella luce, cosa celebriamo?
Una ricorrenza svuotata dei suoi contenuti essenziali.
In un mondo asfittico, anestetizzato, reso povero di valori e ideali dalla corsa al consumo e all’acquisto chiediamoci cosa significa Resistenza, cosa vuol dire la “luce di speranza” in un futuro migliore.
Se fossero qui quei ragazzi, i ragazzi del ’45, cosa direbbero delle nostre polemiche, del gioco politico fazioso che ha preso lo spazio della luce, dell’entusiasmo e dell’ideale?
Serve meno strumentalizzazione politica e più silenzio, più rispetto della memoria di chi ha combattuto. E poi ricordare e trasmettere il senso di ciò per cui si lottava, essere in grado di trasmettere ai ragazzi di oggi quella luce.
Quella luce io la ricordo.
Era il senso di fratellanza accorata che mi trasmetteva mio zio partigiano quando mi raccontava con gli occhi pieni di lacrime la riconoscenza per quella famiglia tedesca che lo aveva salvato dagli stenti, mentre era prigioniero ad Auschwitz, portandogli di nascosto del pane e del formaggio.
Quella luce la raccoglievo negli occhi di mio padre quando mi raccontava con voce rotta di emozione le Quattro Giornate di Napoli, di cui aveva fatto parte viva e che aveva riunito tutti, donne e uomini, vecchi e bambini in un unico afflato.
Quella luce era testimonianza contro le ragioni dell’odio.
Pura luce di innocenza.
Quella luce che oggi è offuscata, corrotta, impoverita dalle ideologie.
“in questi giorni
In cui si desta il doloroso stupore
di sapere che tutta quella luce
per cui vivemmo, fu soltanto un sogno
… fonte ora di solitarie vergognose lacrime.”