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Ancora qualche giorno per visitare “Le stanze dell’utopia”, la mostra di Ugo Marano, a cura di Stefania Zuliani e Antonello Tolve, ospitata al Madre fino al 31 maggio 2023.
In esposizione oltre quaranta opere, tra cui “Papà non c’è” (1987), mai esposta al di fuori della casa-studio di Capriglia. Sculture, installazioni, disegni, dipinti e libri d’artista dalla fine degli anni Sessanta al 2010 danno vita ad un vero e proprio racconto del lavoro di Marano, declinato attraverso le linee guida che hanno orientato la sua attività. Un percorso di arte e di pensiero che ha riconosciuto nell’utopia la sua forza e il suo movente, non strutturato secondo ordine cronologico né in base ad una selezione per tecniche e materie, ma scandito in sette sezioni, in sette idee di Casa, Corpo, Tempo, Arte, Scrittura, Natura, Legame.
Il legame con la natura
Il lavoro di Ugo Marano testimonia uno stretto legame con la natura, matrice stessa del suo agire artistico, la cui energia metamorfica non viene rappresentata tal quale, ma tradotta e restituita nella sua vitalità. Non c’è una tecnica privilegiata per questa traduzione di energia, per la messa in concetto e quindi per la messa in forma della continua metamorfosi naturale. Nel 1969 Marano ha scelto ad esempio la ceramica (arte regina) per ricreare l’orizzonte instabile del mare dando vita al primo antipavimento, e tante volte nel corso degli anni ha continuato ad affidare alla ceramica il suo racconto marino: la musicale sequenza di Onde (1981) qui esposta ne è prova lampante.
La ceramica diviene testimonianza anche del rapporto dell’artista con il territorio e con alcuni elementi della sua tradizione: sono ricorrenti, infatti, opere che rimandano all’esperienza dei Vasai di Cetara e a Rufoli, terra di argille pregiate dove la cottura della terracotta è un’arte e un rito collettivo, come racconta il Museo Città Creativa di Ogliara che proprio in Marano ha avuto il suo ispiratore. In mostra sono presenti alcune opere che rimandano alla sua ricerca condotta sul vaso, parte di una ben più ampia serie che l’artista ha realizzato agli inizi degli anni 2000.
Altro elemento ricorrente, ben riconoscibile nel percorso espositivo, è la sedia, emblema di una visione dell’arte che non tende ad ottenere un facile risultato ma a elaborare senza sosta nuove strategie di vita e di pensiero: e del resto «i conti con le idee si fanno da una sedia scomoda. Le poltrone rendono le idee soffici: è l’inganno della poltrona».
La scrittura, il segno che diviene disegno e parola sulla pagina bianca o sulla superficie dell’opera, accompagna tutto il percorso di Ugo Marano. L’esercizio della scrittura ha per l’artista un valore almeno duplice, rappresentando sia il momento di analisi delle ragioni e delle procedure che conducono all’opera sia lo spazio di un’invenzione libera, giocosa, a volte ironica ma sempre poetica. Due momenti che non si escludono a vicenda e che spesso convivono nello stesso testo: gli scritti dell’artista, è stato Filiberto Menna a sottolinearlo presentando nel 1972 il lavoro di Marano alla galleria Schneider di Roma, offrono certo «la chiave per capire più in profondità i disegni e le sculture», ma aprono anche a più ampi orizzonti di senso, creando scenari visionari o restituendo tracce di incontri ed esperienze di vita.
Info: Museo Madre
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