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A quasi due anni dalla scomparsa dell’artista Marisa Albanese, il Museo e Real Bosco di Capodimonte presenta “Massi erratici”, l’ultima opera alla quale l’artista stava lavorando. Il progetto site-specific è a cura del direttore Sylvain Bellenger, vincitore dell'avviso pubblico PAC2020 - Piano per l'Arte Contemporanea, promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura. Un’opera di dimensioni ambientali che ha ricevuto il sostegno di Gianfranco D’Amato.
L’opera sarà inaugurata mercoledì 12 luglio 2023 alle 18, sulle praterie nei pressi di Porta Caccetta, proprio lì dove amici, parenti, colleghi ed esponenti del mondo dell’arte contemporanea le tributarono l’ultimo commovente saluto laico, come lei aveva desiderato.
Il progetto “Massi erratici” è nato dal ritrovamento di circa cinquecento elementi lapidei, resti dei bombardamenti subiti dalla città di Napoli nel 1943, emersi all’interno del Bosco durante i lavori di restauro del giardino storico. Attraverso il recupero, lo studio e la catalogazione di questi materiali, l’artista ha colto l’invito del direttore Bellenger a realizzare un’opera dall’aspetto apparentemente monumentale con la quale integrare memoria e ambiente, funzione simbolica, politica ed etica.
Da questi “scarti della storia” è nato un “totem” dal titolo “Massi erratici” nel quale sono inserite due opere iconiche: “Le Combattenti”, una in marmo di Carrara e una in marmo bardiglio. Il progetto è stato realizzato anche grazie al coinvolgimento della Fonderia Nolana della famiglia Del Giudice che da oltre un secolo collabora con artisti italiani e internazionali affiancandoli nella realizzazione di progetti installativi con lavorazioni in diversi materiali e all’impegno dell’ingegnere Giampiero Martuscielli.
«Le pietre ritrovate recentemente alle spalle della chiesa di San Gennaro nel Bosco di Capodimonte, erano sfuggite allo sguardo contemporaneo perché coperte dalla vegetazione. Una testimonianza di un evento passato? Tracce di una catastrofe? Un percorso, quello compiuto dalle pietre, prima avvolto nel mistero, ma ora non più; oggi sappiamo che sono portatrici di una memoria dolorosa, le distruzioni della Seconda guerra mondiale. Quello che stiamo vivendo ora con la pandemia mi porta ad accettare la sfida di utilizzare queste pietre, ognuna carica di memorie, e far rivivere quelle masse in forma contemporanea in modo che respirino, leggere, nello spazio», scrive l’artista nei suoi appunti di lavoro.
E nella scelta del titolo assegnato all’opera, Marisa Albanese scriveva: «Massi erratici o trovanti, grandi blocchi di roccia che sono stati trasportati dagli scioglimenti dei ghiacciai lontano dal loro luogo di origine. Mi piace pensare alle pietre ritrovate nel Bosco di Capodimonte, come pietre erranti che sono giunte a noi da luoghi lontani e poi utilizzate per costruire i grandi palazzi nel centro di Napoli. Architetture contenenti vuoti vissuti e attraversati da persone che hanno assistito nel loro quotidiano agli eventi straordinari e banali della vita».
Partendo dall’analisi delle rovine, l’opera di Marisa Albanese si sviluppa nella direzione di una rigenerazione con molteplici implicazioni espressive, dalla rielaborazione della memoria, al recupero dei frammenti, tra reinvenzione artistica e mimesi. Dal negativo della distruzione verso il positivo dell’elaborazione creativa, dall’abbandono alla cura, dall’oblio al recupero della memoria, attraverso la visione e il gesto poetico dell’artista. Massi Erratici, acquista una sua esemplarità nazionale e internazionale proponendosi come modello d’interazione fra storia e attualità, fra ambiente naturale e contesto sociale, fra memoria e contemporaneità.
L’opera diventa immagine-esperienza del continuo processo di distruzione e di rinascita della cultura e dell’arte che accompagna da sempre la dimensione umana e l’ambiente naturale.
Il tema delle rovine è strettamente legato alla città di Napoli, la quale lo introdusse come tematica portante del Grand Tour in conseguenza della scoperta degli scavi di Pompei ed Ercolano. Le rovine e la memoria sono due elementi che accomunano tanto il passato, quanto il linguaggio del nostro presente interpretato da Marisa Albanese e nella sua opera Massi erratici. Non è un caso che l’artista sia cresciuta frequentando abitualmente gli Scavi di Pompei, come se frammenti della storia e le tracce del passato fossero stati da sempre inscritti nel suo destino. Il tema delle rovine è presente a Capodimonte anche in una particolare declinazione in voga soprattutto tra XVIII e XIX secolo, di cui sono un esempio alcune “folies”, capricci immaginari e romantici, quali la Grotta di Maria Cristina e la Capraia Vecchia, strutture che si aggiungono ai 17 edifici del Real Bosco.
«Parlando del mio lavoro ho spesso usato la metafora dell’elastico: tendere un comune elastico allungandolo con un braccio in avanti (proiezione verso il futuro) e con l’altro indietro (memoria del passato) per poi lasciarlo tornare alla sua reale dimensione (il vivere presente). Ergere una torre come simbolo di rinascita, sovrapponendo le pietre le une sulle altre e creare un vuoto abitabile da una memoria che stratifica il segno del passato con quello del presente», afferma l’artista.
«Massi erratici è dunque un progetto che si ispira al sentimento del ritrovamento, dello spostamento e del viaggio delle pietre fino a noi, scrigni di memoria, dove è la Storia che riemerge. Dando nuova vita a questi frammenti, briciole della storia, attraverso l’uso dell’astrazione della forma, diamo voce con forza espressiva, creativa e intellettuale all’arte e alla natura come fonti di nuove emozioni. Con questi testimoni del passato, ergiamo un monumento alla cultura, alla storia, all’infinito viaggio della vita, al vuoto che contengono, al silenzio, al ritorno al grandioso ed eccessivo portato della storia».
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