Quando il mare è dentro: Malanima, il potente esordio di Rosita Manuguerra

C’è un’isola, al centro del Mediterraneo e forse anche al centro dell’anima, dove il mare non è solo paesaggio, ma confine, memoria, scelta.
È da qui che parte Malanima, il romanzo d’esordio di Rosita Manuguerra (2025, Feltrinelli – 208 pagine).
Un’opera luminosa e malinconica, capace di raccontare il passaggio dalla giovinezza all’età adulta con una delicatezza che sa di sale, vento e pedalate libere.
Rosita Manuguerra è cresciuta a Favignana, isola nell’isola, dove ha imparato – come dice lei stessa – che “tra il dire e il fare, c’è davvero di mezzo il mare”. Dopo un periodo a Torino e la formazione alla Scuola Holden, ha scelto di raccontare storie. Malanima è la sua prima prova narrativa, ma mostra già una voce matura, consapevole, capace di scavare nei luoghi e nelle mille sfumature della vita.
L’isola è abitata da chi va e viene, da chi parte con le piogge e da chi resta anche quando restare fa male. Mia, la protagonista, è figlia di questa terra e di queste scelte. Sua madre Teresa ha deciso di rimanere; la zia Nietta è partita appena ha potuto. Insieme agli amici di sempre – Giulia, Anna, Nello – Mia attraversa quell’età sospesa in cui tutto sembra eterno.
Poi arriva Marina, la ragazza di città, diversa, scostante, misteriosa. Marina non se ne andrà con l’autunno, e con lei arrivano anche gli echi di un passato rimosso: sua madre Lia è legata a Teresa da un’antica amicizia e da un trauma che affiora tra le rocce e i ricordi.
In Malanima, l’isola non è solo sfondo: è protagonista simbolica. È luogo dell’anima, radice che consola e catena che soffoca. Manuguerra ci conduce tra sentieri assolati e segreti nascosti nel tufo, tra amicizie adolescenziali che resistono al tempo e legami familiari lacerati e profondi.
Si sente l’odore del mare in queste pagine. Il lettore cammina sull’isola insieme a Mia, Marina, Totò, Aldo e gli altri. Si specchia nei loro turbamenti, nei desideri mai detti, nelle ribellioni silenziose.
La “malanima” del titolo è quella ferita invisibile che ci portiamo dentro, quel legame con un luogo – o un tempo – che non ci fa bene, ma che non possiamo abbandonare del tutto.
Malanima è anche, e soprattutto, una storia di emancipazione femminile. Le madri e le figlie si parlano attraverso scelte diverse, gesti e silenzi. È un romanzo che racconta donne che resistono, che sfidano la cultura patriarcale, che si riconoscono, si oppongono e si amano a modo loro.
C’è forza, c’è rabbia, ma anche dolcezza e tenerezza in questi ritratti femminili mai stereotipati, sempre sfumati.
La scrittura di Manuguerra è avvolgente, limpida e autentica. Ha il passo lento e consapevole di chi sa che ogni parola è importante. Il ritmo non è incalzante, alterna vuoti e pieni come per dare tempo alle parole di respirare.
Malanima non è solo un romanzo di formazione: è un viaggio emotivo, un’esplorazione sottile della resilienza e della malinconia, della forza silenziosa che accompagna ogni addio e delle paure che costringono ogni ritorno.
È un libro che ci guarda dentro, ci insegue con i suoi personaggi e ci sbatte in faccia i nostri sogni, i nostri fallimenti, le nostre speranze.
Un libro potente, che lascia il segno.
Come quelle onde che tornano sempre, che a volte preannunciano tempesta e altre un mare dove lasciarsi cullare dolcemente.