Il patto per Napoli andava firmato
di Sergio D’Angelo
Il Patto per Napoli andava firmato, non c’erano alternative per evitare il dissesto del Comune che avrebbe coinvolto a catena i creditori, quindi non solo le imprese ma anche le sue stesse partecipate e i lavoratori, con conseguenze disastrose sul già fragile tessuto economico cittadino, messo ulteriormente a dura prova da due anni di pandemia. Tuttavia ho preferito attendere qualche ora per smarcarmi dall’entusiasmo sfrenato che politica, intellettuali e media cittadini stanno manifestando da ieri.
Riassumo in questa sede il giudizio che ho espresso più volte in questi mesi: il Patto per Napoli è un atto necessario non particolarmente generoso, perché restituisce alla città poco più della metà dei tagli operati negli ultimi venti anni da parte del governo centrale, che contiene inoltre delle insidie che non vanno sottovalutate.
Non lo dico per disfattismo, la mia storia di operatore sociale non mi permette di rinunciare all’ottimismo, indispensabile per l’esercizio di una professione che lavora sui fallimenti e perciò necessita di una robusta dose di speranza per il futuro. La stessa che serve alla nostra città per rimettersi in piedi. Esprimo più semplicemente un giudizio politico che per sua stessa natura dovrebbe fare della sobrietà il tratto distintivo.
Continuo a pensare che il Ddl Concorrenza sia un pericolo rispetto al quale va tenuta alta la guardia. Pur nella convinzione che le società partecipate vanno efficientate e i servizi erogati ai cittadini migliorati, ribadisco la mia contrarietà a ogni ipotesi di privatizzazione. Non è una opposizione ideologica, ma la semplice osservazione delle conseguenze che questi processi determinano, a partire da un aumento delle tariffe per i cittadini e un peggioramento della condizione dei lavoratori. Resto altrettanto convinto che il pubblico può risultare vincitore a mani basse nel confronto con i privati perché non deve produrre profitto, a patto però che lo si metta in condizione di farlo.
È esattamente il cammino che penso debba intraprendere questa maggioranza, alla quale ho assicurato e assicurerò sostegno leale, ma senza celare le insidie, senza rinunciare all’esercizio della critica politica quando è finalizzata al bene comune. Ecco, siccome si sta parlando di bene comune, evito volutamente i toni trionfalistici e il linguaggio ipertrofico. La firma del Patto non è un momento storico, può e deve diventarlo invece un percorso virtuoso che come istituzioni cittadine dobbiamo intraprendere insieme alla città, non solo la sua classe dirigente, spesso operosa solo in presenza di robusti finanziamenti pubblici.
Il timoniere non pensasse quindi di procedere senza ascoltare: il Patto per Napoli è una occasione per rimetterci in marcia solo se ne facciamo uno strumento collettivo di democrazia partecipata e di azione politica e civile.
Per seguire Sergio D’Angelo: https://www.facebook.com/sergiodangelo2020