Domenica, 22 Dicembre 2024

Educare alle emozioni

Cosa fanno i ragazzi in città?

Mettono il cervello in modalità “brain rot”, una parola particolare che significa cervello che marcisce.

L’uso di questa parola non è nuovo ma ritorna alla ribalta grazie ad alcuni psicologi che si sono interrogati sull’uso che i ragazzi fanno dei social.

Finisce l’orario scolastico e ci si collega al web, si scorrono immagini, video, reels e storie divertenti, e lo sguardo resta letteralmente incollato per ore e ore sullo schermo.

Non solo i ragazzi, anche gli adulti, in questo caso i genitori, tornano dal lavoro e vengono assorbiti dalla realtà virtuale che li cattura e, come ai nostri tempi si faceva zapping davanti al televisore, così oggi appena si ha un momento libero si viene inglobati in questo continuo bombardamento di immagini che vengono sfornate a ripetizione dal web. Tormentoni, video dissacranti sui gatti, ricette di cucina, il filmato di una caduta ridicola, l’incidente su strada riproposto a tappeto, e poi una miriade di reels sarcastici e divertenti, pieni di battute ironiche. Per dimenticarci della vita.

Un’invasione di immagini e di contenuti veloci, rapidi, assenti di spessore e che allenano il cervello a funzionare in modalità facile e ad annullare il pensiero critico e creativo.

Accade così che si è facilmente vittime di una sorta di depressione emozionale, si vive ottunditi, si sviluppa una modalità di azione robotica, assente di vitalità, ci si addormenta al mondo e a se stessi.

Si passa il tempo a scorrere immagini, ad alienarsi e ad annoiarsi.

Frattanto il cervello va in brain rot, marcisce, si deteriora.

Ore e ore passate online facendo “scrolling” e macinando contenuti disimpegnati completamente vuoti e privi di stimolo, all’inizio stimola dopamina, ma nel tempo riempie il cervello di spazzatura e lo impoverisce, rendendolo alla lunga incapace di approfondimento e di concentrazione.

Pensiamo a quanto tutto questo può danneggiare un cervello adolescente…

Il rischio è di inaridirlo e renderlo inabile a quei processi che richiedono attenzione e spirito critico come lo studio più complesso o la lettura di un libro o l’esecuzione di un lavoro che richiede approfondimento e attenzione.

Una vera piaga sociale del domani.

Se a questo aggiungiamo il fattore tempo che porta i ragazzi a preferire l’intrattenimento online a discapito dei rapporti umani che richiedono messa in gioco e capacità di relazionarsi con le emozioni e relative frustrazioni, cioè ad essere davvero vivi, possiamo avere un quadro completo della sconnessione e conseguente alienazione del mondo attuale.

Proprio per cercare di arginare questa dinamica si è parlato molto negli ultimi tempi di educazione emozionale nelle scuole, di fare insomma dell’educazione al sentimento materia scolastica.

È una strada possibile?

Ci illumina in proposito Flaubert che scrisse tra il 1864 e il 1869 “L’educazione sentimentale”, un affresco bellissimo sull’iniziazione del vivere. È la storia del giovane Moreau, il protagonista, che si trova a misurarsi con le sue ambizioni e le occasioni mancate, nell’incontro con i compromessi della vita e gli slanci abortiti, dalla giovinezza alla maturità. Un cammino iniziatico del sentimento che ci invita a cadere e poi a rialzarci, ma ad affrontare comunque le luci e le ombre della vita.

Attraverso il libro, l’iniziazione, l’assaggio, la tematica.

Poi il resto spetta alla vita di ciascuno.

Si può fare di questo materia scolastica?

Una proposta del genere ci racconta ancora una volta il grande scollamento emotivo in cui viviamo.

Come si può educare in maniera formale al mondo emozionale attraverso una materia scolastica?

Il sentimento non può essere insegnato perché non è una “materia” didattica, ma un’esperienza personale.

È un percorso interiore, un romanzo di formazione che ciascuno fa quando si rapporta realmente all’altro e accetta fino in fondo la matrice del dolore esistenziale senza anestetizzarsi e distrarsi continuamente.

Cosa impossibile nella società della felicità a tutti i costi, della patina perfetta e perfettibile che elude l’autenticità, e del ricettario facile.

Per riabituare, non educare, un’intera società al mondo emozionale servirebbe uno specchio. Uno specchio fedele in cui specchiarsi senza maschere per ritrovarsi, per ritrovare l’essenza di un’umanità perduta, la nudità dell’essere e la fecondità del dolore.

Occorre partire dalle basi e rimettere in discussione gli slogan del finto benessere, della finta felicità, dell’immagine patinata dell’emozione.

Perché non esistono pillole e alcun viatico di benessere se non nel Truman show dei consumi e una società che abortisce la verità individuale preferendo il politically correct del sentire “corretto”, deciso dai vari “esperti” di settore, è una società morente.

Chiara Tortorelli
Author: Chiara Tortorelli
Creativa pubblicitaria, editor e scrittrice, vive a Napoli dove inventa nuovi cultural life style: come presentare libri in maniera creativa e divergente, come scrivere i libri che ti piacciono davvero, come migliorare la creatività e il benessere personale con metodologie a metà strada tra stregoneria e pensiero laterale. Il suo ultimo libro è “Noi due punto zero” (Homo Scrivens 2018). Cura per Napoliclick la rubrica “La Coccinella del cuore”.

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