CHI SIAMO
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Per quelli della mia generazione cresciuti a Napoli Nord, il mare non era Mergellina. Nossignore. A Mergellina ci andavano quelli della Torretta e dei vicoli che lambivano i palazzi della Chiaia nobile. Tanti bambini. Arrivavano e si buttavano incuranti del divieto di balneazione dopo aver attraversato la Villa Comunale.
Erano come gli scugnizzi luciani del Pallonetto che si tuffavano da Castel dell’Ovo. Per noi il mare si trovava invece alla fine della strada americana dove c’era Licola. Ci si metteva meno che arrivare a Mergellina. Non erano i Caraibi, ma c’era una spiaggia enorme. E poi bastava infilare le mani nella sabbia a pelo d’acqua per tornarsene a casa con un bustone pieno di telline.
A Mergellina, si andava a passeggiare e a mangiarsi i taralli. Ogni volta che ce ne stavamo sul muretto a sgranocchiare, ci chiedevamo se si potesse fare una spiaggia spargendo sabbia dove c’erano gli scogli. Un dibattito sempre uguale a sé stesso, rassicurante, fra chi diceva che si poteva fare e chi invece sosteneva che non si poteva mica riempire il mare. Alla fine, concludevamo altrettanto invariabilmente che sarebbe stato bello se a Napoli ci fosse stata la spiaggia, mentre ci leccavamo le dita con lo sguardo all’orizzonte dando un tocco di salsedine ai taralli. Lo dicevamo così, come una di quelle cose tanto per dire che non si avverano, mentre sullo sfondo passavano le portaerei americane e gli yacht a ricordarci che esistevano tante Napoli e tanti padroni della città, ma non eravamo noi.
Nel corso degli anni scoprimmo altri pezzi di mare. Scoprimmo perché a Napoli il mare si vede da molti punti però l’accesso è quasi sempre nascosto. C’erano per esempio questi cancelli lungo via Posillipo perennemente chiusi. Noi ci arrampicavamo per capire dove portassero quelle viuzze ripide in discesa tutte curve al di là delle sbarre. Se fossero o no l’ingresso dei pezzi di paradiso nascosti e silenziosi che si vedevano solo dal mare. Allo scoglione di Marechiaro invece si poteva andare liberamente. Scomodo, però. Dovevi scendere a piedi fino alla fine della discesa, prendere la barca e restartene tutta la giornata sotto il sole. Non c’era niente, nemmeno una scaletta per risalire dall’acqua quando ti tuffavi, e perciò graffi e tagli erano all’ordine del giorno, però era quasi gratis. Disagi a buon mercato. Bagnoli era un discorso a parte perché occupato dal mostro dell’Italsider con le sue ciminiere, perciò si faceva fatica a credere ai nostri genitori quando continuavano a giurare sulle nostre teste che lì davvero andavano al mare.
A distanza di decenni, a Napoli qualcosa è cambiato. Qualche piccolo tratto di mare che allora non lo era è diventato balenabile, le industrie non ci sono più e poi? E poi basta. I cancelli di via Posillipo sono rimasti là e altri ne hanno costruiti per rafforzare l’idea che il mare è cosa loro. La spiaggia che sognavamo a Mergellina l’hanno fatta a Barcellona. A noi resta l’immagine che accompagna l’articolo, una provocazione suggestiva dell’architetto napoletano Alessandro Lamanna che però a Napoli fa il vigile urbano. Avevano ragione quindi quelli che fra noi dicevano che si poteva fare, ma pure quelli che pensavano che non si sarebbe mai fatta, anche se per motivi diversi.
Su 27 chilometri complessivi di costa, a Napoli ci sono solo 200 metri di spiaggia libera. In seguito alla pandemia, due di queste minuscole spiagge sono diventate a numero chiuso. E a numero chiuso sono rimaste anche questa estate, sebbene un po’ meno chiuso perché se il popolo ti chiede il pane almeno un paio di brioche gliele devi lanciare. Ai minorenni nemmeno quelle. Basta avere anche un giorno meno di diciotto anni e non puoi entrare, se non sei accompagnato da un adulto. Sembra proprio un escamotage per sfoltire il numero dei pretendenti, perché fra quelli che vogliono andare al mare e non possono pagare i prezzi richiesti dai lidi privati i ragazzi sono sicuramente tanti. Dove andranno sono fatti loro, fino alla prossima intervista al sociologo dell’accademia sul disagio giovanile.
Il mare per censo sembra il titolo di una canzone. Se lo fosse, sarebbe una ballata triste che racconta la storia di una città di mare dove il mare è negato. Nei lidi cittadini ci vogliono 20 o 25 euro a persona al giorno per un lettino. Poi ci devi mettere l’ombrellone, il parcheggio, spesso non puoi portarti il cibo da casa perché queste volgarità non sono ammesse nella Napoli del boom turistico dove un crocchè costa 3 euro, nel trionfo della “tipica cucina napoletana”. Insomma, una famiglia di quattro persone che vuole andare al mare la domenica deve spendere più di 400 euro in un mese per quattro bagni in croce. Panini, trasporti e bevande escluse, of course. Nella stessa città dove il reddito pro capite è di circa mille euro al mese nelle paradossali periferie del centro storico di Mercato e San Lorenzo e non raggiunge i 1.500 in undici quartieri su ventidue.
A Napoli il futuro è la categoria più popolare in politica, a patto che sia perennemente prorogabile. Il futuro prorogabile è un inno all’ottimismo perché faremo, diremo e valuteremo escludono ogni possibilità di fallimento, se perennemente riutilizzabili. Una sorta di raccolta differenziata delle parole con riuso annesso.
Quest’anno appartengono alla categoria (ma con vista sul mare) l’elioterapia a San Giovanni a Teduccio e a Bagnoli, e le piattaforme removibili a Mergellina. Elioterapia è un termine più seducente del mettersi al sole. Però in questo caso su una spiaggia che a fine giugno non esiste e bagnata da un mare non balneabile. Una passeggiata di salute, per giunta ipotetica. Le piattaforme a mare sono un cavallo di battaglia di alcuni consiglieri che con ostinazione ci provano già dalla scorsa estate, e anche quest’anno hanno presentato un ordine del giorno. La giunta Manfredi non brilla per l’attitudine al dialogo, né con le stesse forze che la sostengono né con la città, però stavolta la pressione sta montando e le piattaforme sono diventate una promessa solenne dell’organo di governo cittadino. Quando non si sa, ma è chiaro che la vera partita si giocherà sull’allargamento dei tratti di costa balneabili e davvero utilizzabili, e sulle concessioni oggi in mano ai privati.
In città qualcosa si muove. Per la seconda estate consecutiva i comitati per il mare libero, gratuito e pulito stanno invadendo le spiagge per riaffermare un diritto collettivo. I bagnanti dei lidi a pagamento li hanno anche applauditi domenica nel corso dell’ultima incursione, perché pure loro devono limitare le giornate al mare potendosele permettere solo un numero limitato di volte. C’era anche Franco Ricciardi, che con Gragnaniello è uno degli artisti che stanno appoggiando la protesta. Franco è uno che se ne intende di area nord. Sono sicuro che anche lui da bambino andava a Licola. Chissà se faceva pure le telline.
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